Dalla Puglia al Piemonte passando per la Sicilia, l’Emilia Romagna o l’Umbria, non si salva nessuno. I Centri di Recupero per la Fauna Selvatica sono a rischio lungo tutto lo stivale, e a dare la mazzata finale a queste strutture, che raccolgono ogni anno decine di migliaia di animali in difficoltà, c’è l’abolizione delle Province, e la conseguente perdita dei già esigui finanziamenti.
“Al momento stiamo sopravvivendo ‘devolvendo’ i nostri stipendi – racconta ad esempio Antonio Durante, che dirige la cooperativa che gestisce il Centro di Calimera, in Salento -, ma da settembre saremo costretti a iniziare a licenziare. Dobbiamo ancora avere 48mila euro dalla provincia per il 2014, e per l’anno prossimo siamo in un limbo, non sappiamo cosa succederà”. Sono un centinaio circa i centri, spesso gestiti da associazioni di volontariato, distribuiti lungo la penisola, a cui arrivano diversi tipi di animali, dai rapaci ai caprioli, dai ricci alle tartarughe, ed ancora i pipistrelli vittime di qualche trauma causato dall’uomo, con la caccia o per incidenti stradali. I centri più grandi arrivano ad accogliere oltre mille animali l’anno, e quasi tutti, affermano le associazioni come Enpa e Legambiente, sono in forti difficoltà economiche.
“Anche lasciando da parte l’aspetto etico, l’esistenza dei centri è prevista dalla legge, secondo cui l’animale selvatico è un ‘bene indisponibile dello Stato’ e deve essere tutelato – spiega Elisa Berti, del centro di Monte Adone, in provincia di Bologna -. Qui il passaggio da provincia a città metropolitana ha creato un bel pasticcio, siamo sicuri dei fondi per il 2015”. In qualche caso, come in Sicilia, i finanziamenti vengono dalla Regione ma dal 2012 non vengono erogati, mentre ci sono centri, come l’unico censito in Umbria, che dipendono totalmente dal Corpo Forestale, che però è destinato come le province a sparire. Segnalazioni di difficoltà vengono anche da regioni con meno difficoltà economiche, come le Marche o la Lombardia o lo stesso Veneto.
“Quest’anno abbiamo avuto un piccolo contributo dalla Provincia, l’anno prossimo non si sa – spiega Fabrizio Croci, del centro di Verona -. Noi accogliamo ogni tipo di animale, e questo porta ad avere un costo di 100mila euro l’anno. Questa situazione favorisce centri più piccoli, meno controllati, che non hanno questi costi”. Le spese, racconta il responsabile del centro di Bernezzo, in provincia di Cuneo, vengono dal cibo per gli animali in cura, dalla corrente per riscaldare le gabbie, dalle visite veterinarie. “Anche i farmaci sono un grosso capitolo, e noi abbiamo anche una sala operatoria con tutti i costi connessi. In più gli animali aumentano, perchè le persone sono sempre più sensibili al tema – spiega -. Abbiamo un contratto con la Regione, che però non ci paga da tre anni, e non sappiamo che fine farà il fondo della Provincia. Se i centri chiudono non si sa dove andranno gli animali, è un problema di cui lo Stato si dovrebbe fare carico, anche solo perchè la legge obbliga a soccorrerli quando sono in difficoltà”.
I centri di recupero della fauna selvatica in Italia resistono solo grazie ai volontari, che arrivano a indebitarsi per cercare di tenerli aperti, ma rischiano il collasso se non si garantiranno loro almeno i pochi fondi che fino a questo momento erogano le Province. Lo afferma Nino Morabito, responsabile Fauna di Legambiente. “Lo stato impone il recupero degli animali, ma non mette le risorse – afferma Morabito -. Questi centri sono nati grazie al coinvolgimento e alla passione dei cittadini, e molti non di rado hanno fatto grandi sacrifici, arrivando ad indebitarsi perchè non se la sentono di abbandonare gli animali anche quando mancano i finanziamenti pubblici. A settembre chiederemo degli incontri ai ministeri competenti sia per la vigilanza venatoria che per il recupero, entrambi messi a rischio dall’abolizione delle Province e di organi come il Corpo Forestale che sono stati fondamentali in questi anni”. I centri, spiega Andrea Brutti dell’Enpa, sarebbero molto utili anche dal punto di vista scientifico. “Possono avere più funzioni – sottolinea – dalla sensibilizzazione all’educazione a vere attività di ricerca, ad esempio raccogliendo i dati sugli animali feriti per capire quali sono le cause. E’ ovvio poi che è prioritario per gli animali selvatici trovati in difficoltà avere un ricovero immediato, e se quest è già difficile oggi, anche perchè le normative sulle responsabilità non sono chiare, rischia di diventarlo ancora di più domani. La normativa nazionale è molto carente – spiega l’esperto -, lo Stato ha delegato alle Regioni, che a loro volta hanno scaricato il problema sulle Province. Il risultato è che ci sono pochi fondi, si tratta l’argomento come se fosse di serie B quando tutta una serie di leggi lo indicano come una priorità”.
Fonte: Ansa