Amo anche io i pipistrelli che cento anni fa, lungo i muraglioni del Tevere, venivano fuori e giravano a lungo dal tramonto fino a sera inoltrata.
Una volta mentre stavo affacciata a guardare il fiume un pipistrellino stava quasi per battermi sul viso.
Ci siamo guardati, ne sono sicura: ricordo il suo musino da topo, la lingua rossa come una fragola, gli occhietti lucenti come due pezzi di ghiaietto.
Adesso non ce ne sono più, dove pensi che siano finiti? Tutti morti o tutti trasferiti altrove?
I gabbiani invece sono i nuovi abitanti del mio quartiere, La nostra strada è corta, tranquilla con molti alberi e tanti piccoli giardini tenuti con cura.
Qui ci sono sempre state molte colonie di uccelli, una volta all’alba cantava anche l’usignolo, adesso ci sono solo gabbiani e cornacchie.
La sera al tramonto c’è la battaglia fra gabbiani e cornacchie che a volo radente si spingono giù dai fanali sui quali l’una o l’altro si sono appollaiati accompagnandosi con grida minacciose.
Una volta c’era anche una gattara che lasciava un piatto di croccantini ai randagi.
Adesso gli uccelli li hanno sostituiti, non so in che modo e si godono loro i bei piattini, però sono molto litigiosi e spesso il piatto finisce in mezzo alla strada inutilizzabile per tutti.
Ma c’è anche una storia poetica: Una madre codetta, alla quale manca un dito, si è fatta amico il pizzettaro che le offre mozzarella tritata, ma un giorno la codetta uno si è presentata con la codetta due, le ha imbeccato la mozzarella e madre e figlia, ora vanno a fare colazione dal pizzettaro e becchettano energiche sulla soglia sull’uscio se lui non le serve appena arrivano.
Paola, da Roma